Quando la fotografia più diffusa era analogica, chi si occupava di tutto il processo di sviluppo e stampa erano i laboratori professionali e i minilab, o un numero ristretto di appassionati che investiva parecchi soldi nell’ attrezzatura necessaria. Lo sviluppo del rullino e poi successivamente la stampa su carta chimica, implicavano una buona conoscenza del procedimento e dei prodotti utilizzati. Tra questi tecnici, i più bravi, usavano tecniche di ritocco per eliminare alcune imperfezioni, raramente aggiungere soggetti per riequilibrare la composizione, oppure facendo sparire degli elementi non graditi del’immagine: queste persone erano considerati dei veri e propri alchimisti, ‘artigiani della luce’.
Con l’avvento della fotografia digitale, il modo di fare fotografia è completamente cambiato. Ormai quasi tutti hanno una fotocamera digitale, un computer, un programma di fotoritocco ed una stampante, mettendo a disposizioni di molti quello che prima era di pochi: stampare da soli le proprie fotografie. Le macchine fotografiche digitali, col passare del tempo, hanno raggiunto livelli di qualità eccellente (prendendo anche in considerazione le compatte). Le stampanti a getto di inchiostro odierne hanno un livello qualitativo di stampa molto alto, con un’ottima definizione, utilizzano singole cartucce in set di quadricromia o di esacromia, e carta fotografica di diversa grammatura e superficie. Comunque sia, nulla vieta di mettere le foto su un supporto digitale, CD o penna USB, e farle stampare su carta chimica, in un comune laboratorio. Dato che il sistema digitale è alla portata di tutti, oggi non è infrequente che si avanzino dubbi sull’autenticità di un scatto. Si considera spesso il fotoritocco un abuso, uno stratagemma per rendere più bella l’immagine a scapito dell’ autenticità dello scatto originale. Come se il fotoritocco tradisse in ogni caso la funzione primaria della fotografia, ossia copiare fedelmente la realtà. Com’è cambiato il mondo: prima il fotografo che ritoccava era un mago, ora è uno che altera la realtà.
Ho provato a cercare su Google la parola fotoritocco, ed in linea di massima, questo termine è utilizzato in argomenti in cui si parla di immagini e non propriamente di foto, in un ambito quasi sempre grafico. Ho provato così a cercare la parola fotosviluppo, ma non ho trovato una definizione. Ho pensato che, essendoci una nuova visione della fotografia con il passaggio al digitale, fosse necessario fare un po’ di chiarezza in tal senso. Si potrebbe introdurre il termine foto sviluppo, diverso dal fotoritocco, per non arrivare a confondere il fotografo con il grafico, e la fotografia con l’immagine.
Il fotosviluppo, rispetto al fotoritocco, sarebbe in senso pratico come paragonare una donna che si trucca, (fotosviluppo) rispetto ad una donna che si fa il lifting (fotoritocco). Soffermiamoci sul primo aspetto, anche perchè quasi tutti sanno che cosa è il fotoritocco, e per chi non lo sa, in rete ci sono un sacco di fonti che lo descrivono ampiamente con definizioni, tutorials, ecc.
Il fotosviluppo digitale, rappresenta la post-produzione che non modifica l’intima natura della foto, ma permette allo scatto generato dalla fotocamera digitale di ‘tirar fuori’ elementi, colori ed altri particolari presenti nello scatto, ma non chiaramente visibili. In un certo senso, rifacendosi alla fotografia chimica, è come se la macchina fotografica digitale impressionasse elettronicamente un rullino virtuale (scheda di memoria) e che questo debba essere sviluppato al meglio per ottenere la fotografia finale, ricca di particolari nelle luci e nelle ombre e con la migliore definizione possibile, cercando di contenere la grana. Quindi in linea di massima, il fotosviluppo ed ogni azione eseguita col programma di editing, mira a generare un camiamento omogeneo, lineare: come nell’applicazione di un filtro ad esempio. Una volta si usavano dei filtri da avvitare davanti all’obiettivo prima di scattare, ora con programmi di editing fotografico, si applicano dei filtri dopo che la foto è stata scattata.
Purtroppo la linea di confine tra fotoritocco e fotosviluppo non è così netta. La fotografia digitale ha dato modo di produrre molti più scatti di qualità, sia per la possibilità di vedere subito lo scatto ed eventualmente di ripeterlo con qualche modifica, sia perché è in grado di realizzare scatti di buona qualità anche con scarsa presenza di luce. A questo si aggiunga la potenzialità data dai programmi di post-produzione di attenuare ulteriormente il rumore, di aumentare l’effetto presenza, o ad esempio di regolare i canali colore in modo da ottenere foto realistiche e ben bilanciate. Ma se ciò non bastasse, l’editing permette con un timbro clone, con una gomma, di modificare ulteriormente l’intima natura della foto, rendendo eccellente quella che prima era una foto discreta, eliminando non solo i difetti e le aberrazioni delle ottiche, ma soprattutto particolari indesiderati, macchie, oppure soggetti che in qualche modo non fanno parte del racconto che vogliamo trasmettere con l’immagine. Modificando l’intima natura della foto, si passa così al vero fotoritocco, ma non credo che nella maggior parte dei casi ci sia nulla di male, basta non esagerare. Non è “far diventare la realtà finzione”, ma è solo utilizzare in modo adeguato uno strumento per adattare l’immagine al ricordo del fotografo, alla sua visione della realtà che aveva di fronte. La fotografia è rimasta quella che era, sono però cambiati i mezzi, che ora sono più potenti e veloci, ma la finalità è la stessa: cercare di ottenere una copia della realtà, la versione migliore possibile, che possa suscitare emozioni in chi la osserva.
Si ringrazia per la cortese collaborazione il Sig. Claudio De Simoni – esperto di fotografia forense
Il blog di Claudio De Simoni sull’analisi della fotografia, lo trovate all’indirizzo http://fotoautentica.wordpress.com/
interessante articolo… in linea di massima concordo (non che questo sia importante).
non credo però che il digitale sia elemento di continuità rispetto all’analogico e che quindi la differenza sia solo tecnologica… penso che la frattura ci sia e riguardi molteplici componenti.
non tanto forse per l’elevato grado di alterazione che offre (anche sul fronte scansione), quanto perché è proprio una visione diversa. molto più subordinata agli umori temporanei.
mentre non mi è chiaro il discorso sulla copia della realtà ecc, trovo molto azzeccato il
paragone sul trucco femminile. e il lifting
solo un’opinione.
Grazie, per il complimento e per concordare in linea di massima.
A mio modestissimo parere, il passaggio dall’analogico al digitale è avvenuto cambiando il modo di fare fotografia, ma non si è mai fermata, ha continuato a vivere, ha rallentato per adeguarsi ai nuovi sistemi di sviluppo, ma c’è sempre stata: ecco perchè la definisco continuità. É chiaro che si è rivoluzionato il mondo fotografico, ma le finalità che aveva prima, le deve avere anche adesso: una su tutte emozionare. Siamo in una fase ancora di assestamento, anche se la tecnologia applicata alla fotografia avanza velocemente, ed è necessario fare un pò di chiarezza, senza dover demonizzare il fotoritocco, che in tal caso ho voluto fortemente definire fotosviluppo: ‘sviluppare’ digitalmente la foto per avere un risultato analogo, come se la stessa foto fosse stata scattata da una fotocamera a rullino. Aggiungo, per collegarmi anche alla ‘copia della realtà’, che si intende utilizzare la fotocamera non per fare immagini astratte, ma avere tutte le peculiarità disponibili con un metodo analogico, supportate da una serie di vantaggi che il digitale ha portato in ordine di scatto, post-produzione e stampa.
Mi fa piacere che abbia gradito il paragone tra trucco e lifting: mi sembrava un modo semplice per paragonare le differenze tra fotosviluppo e fotoritocco.
Le opinioni sono sempre ben accette, in modo costruttivo, danno modo ad ognuno di noi di crescere attraverso una cosa che ritengo fondamentale: la Comunicazione.
temo però che questi vantaggi, diciamo pratici, si stiano pagando a caro prezzo. sia sul fronte della qualità che mediamente è mediocre, sia soprattutto pensando alla grande mole, insopportabile, di immagini, essenzialmente dovuto alla immediata facilità di accesso al mezzo. inteso come strumento, cellulare incluso. è vero, ha ragione, siamo in una fase di assestamento. e ciò che abbiamo tra le mani non ha ancora definizione certa… più immagine che fotografia, certamente neonata. crescerà e cambierà.
Mi piace quello che scrive Efrem Raimondi. Anche io ho riscontrato un abbassamento della qualità delle fotografie prodotte, dopo l’ampia diffusione del digitale. Chissà, forse il fatto di avere a disposizione un rullino che pagavi ogni volta e che non potevi riutilizzare, costringeva a metterci un pò di testa e voglia in più. E poi il fatto di poter correggere tutto in post produzione, ha spinto molti a trascurare la preparazione dello scatto, la posizione esatta delle luci, la collocazione precisa del soggetto, e molto altro… Mah, certo il digitale ha fatto risparmiare un bel pò di soldi, e a pensarci bene alcuni scatti che ho fatto per lavoro, non sarei riuscito a farli se non avevo la mia Nikon digitale. Qualche anno fa mi hanno chiesto di fotografare un quadro in un museo di Urbino, con una teca in vetro antisfondamento sopra. Se non avessi avuto la possibilità di verificare continuamente a monitor lo schema di illuminazione, molto particolare, mi sarei dovuto munire di una fotocamera con lastre polaroid, spese maggiori, tempi enormemente più lunghi… E c’è di più, con photoshop un collega ha eliminato i segni del tempo, crepe, restauri, ha restituito contrasto e saturazione ai colori e fornito una versione “come appena dipinto”, molto gradevole e apprezzata. Ancora una volta forse conta il fotografo, in che modo usa lo strumento. Chi prima usava solo impostazioni automatiche, ha continuato a farlo anche con il digitale, con risultati molto scontati, chi invece, come sicuramente Efrem Raimondi, usava esposimetri, impostazioni manuali, chi ragionava prima dello scatto e dopo quando vedeva i risultati, penso che abbia tratto solo i vantaggi dalle fotocamere digitali.
Claudio De Simoni
be’, ho usato in film e uso in digitale anche programmi automatici… dipende dalle circostanze.
non credo claudio riguardi solo (certo anche) una conoscenza tecnica, lo scadimento medio delle fotografie, o immagini, che vediamo in giro. è proprio una questione di linguaggio, di gusto se vogliamo proprio allargarci: chiunque oggi è in grado attraverso un qualsiasi mezzo di pestare sugli occhi di noi tutti. ed è vero ciò che dici… l’attenzione in fase di produzione è un po’ demandata alla post. con grande spreco di tempo e energie. e di soldi, altro che il digitale è gratis! poi, concordo, tecnicamente ha contribuito, l’intero processo digitale, a risolvere e affrontare più serenamente alcuni percorsi. non voglio passare per un negazionista delle nuove tecnologie, le uso!